In una scuola di Roma, precisamente della Garbatella, i dirigenti avrebbero detto alle ragazze di non venire a scuola in minigonna perché sennò i docenti maschi si distraggono.
Parliamone.
Ci sono tanti lati in questa vicenda, potremmo dire tante visuali, da quelle sociali e politiche a quelle fisiche, come l’occhio maschile che cade, come si dice, sulle gambe delle studentesse.
La prima cosa che cade in queste vicende, che finiscono poi sulle pagine nazionali dei grandi quotidiani, è l’intelligenza.
I docenti sono tenuti per etica e per contratto a non molestare le alunne, le quali in una democrazia evoluta vanno in classe vestite come gli pare purché non in mutande.
Sarebbe semplice, così potremmo concentrarci sui problemi della scuola reale: le regole del Covid, i banchi, la mancanza dei docenti, la loro preparazione, i loro salari, la bassa qualità complessiva, la digitalizzazione a macchia di leopardo nel paese, etc etc.
Per la cronaca, la vicenda è caduta nella retorica più scontata: il femminismo deja vu delle ragazzine, il corpo è nostro, le precisazioni democristiane dei dirigenti.
Se può consolare, anche nella vicina Francia è successo lo stesso. Segno dei nostri tempi schizofrenici, persi tra abbondanza e privazione, tra pornografia e nostalgia del decoro.
Cade un po’ tutto in queste storie, lo capite anche voi, anche a me sono veramente caduti e non gli occhi.
Domani si vota, ma da martedì dite alla Azzolina di mantenere le promesse, così tra l’occhio potenzialmente mobile e una gamba potenzialmente sexy, ci sarà quello che c’è sempre stato, un caro vecchio banco di scuola.
Claudio Brachino
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